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Molti degli astrofotografi della mia generazione, dopo essere passati per la fotografia analogica, si sono avvicinati per la prima volta all'astrofotografia digitale grazie ai sensori CMOS.

In pochi,. infatti, potevano permettersi i primi sensori CCD raffreddati per astronomia: costosi, piccoli e difficili da utilizzare erano riservati ai professionisti o ad astrofili evoluti.

All'inizio degli anni 2000, però, è cominciata la diffusione delle prime camere digitali a prezzi abbordabili per il grande pubblico, tra queste sono certamente da notare i vari modelli di Canon.

Questi sensori digitali, basati su teconlogia CMOS, non avevano certo l'impronta rigorosamente scientifica e il range dinamico dei CCD, ma permettevano di acquisire immagini digitali di qualità ad una frazione del prezzo di un CCD raffreddato.

Così è cominciata la mia avventura nell'astrofotografia digitale: dopo una breve parentesi con le webcam (la mitica Vesta Pro e la figlioletta Toucam), nel 2008 sono passato ad una Canon 350D, opportunamente modificata per estendere il range nel rosso.

Il punto di arrivo però, allora, era l'acquisto di un CCD monocromatico dotato di filtri al quale sono passato poco dopo.

 Negli ultimi anni però la tendenza sta cambiando: la tecnologia CCD ha raggiunto una certa maturità e non ha più mostrato la grande evoluzione dei primi anni, mentre la tecnologia CMOS si è evoluta continuamente, colmando il gap.

Per questo ero molto curioso di provare uno dei nuovo sensori CMOS per astronomia.

L'opportuna è arrivata grazie a Marco Rigo di Astrottica che mi ha concesso in prova l'attuale ammiraglia di casa ZWO: la ASI 6200 in versione a colori.

 Sulla carta la ASI 6200 si presenta come un piccolo gioiello tecnologico: 

  • Sensore Sony IMX455 retroilluminato
  • Formato "full frame" 35mm
  • Efficienza quantica di punta di poco inferiore al 90%
  • Convertitore Analogico-diigitale a 16 bit.
  • Pixel da 3,76 micrometri
  • Risoluzione 9576x6388 pixel (60 Megapixel)
  • Readout noise 1 - 3 elettroni (a seconda dell'impostazione di GAIN).

la cosa che, sinceramente, trovo particolarmente interessante è la tecnologia del sensore retroilluminato che va a risolvere quello che è sempre stato il maggior limite del CMOS: il circuito a bordo pixel che ne riduce sensibilmente la superficie utile (e quindi l'efficienza quantica).

Nell'IMX455 i fotoni colpiscono il "retro del sensore" e quindi non c'è nulla che fa ombra sul pixel rubando fotoni.

Altra caratteristica interessante dei CMOS in genere e di questa camera nel dettaglio è il bassissimo rumore di lettura (readout noise) che consente di accorciare notevolmente i tempi di posa dei singoli frame.

In modalità ad alto GAIN (basso guadagno) la camera ha un readout noise di circa 1.5 elettroni che sale a 3 elettroni per l'impostazione a basso GAIN (per confronto un normale CCD ha 9-11 elettroni).

Questo dona alla camera un range dinamico effettivo di 14 bit (che decresce all'aumentare del GAIN.

Una nota importante: come tutte le camere CMOS di ZWO il parametro GAIN è impostabile dall'utente, tale parametro è simile al settaggio ISO delle fotocamere digitali: maggiore è e più il segnale in uscita dal sensore viene amplificato.

Il settaggio GAIN però non influisce minimamente sulla sensibilità della camera (che è definita dall'efficienza quantica).

Inoltre non bisogna confondere il settaggio GAIN con il guadagno della camera (espresso in elettroni/ADU): mentre il GAIN aumenta in guadagno diminuisce, la relazione tra i due parametri può essere vista in uno dei grafici sulla scheda tecnica sul sito si ZWO (https://astronomy-imaging-camera.com/product/asi6200mm-pro-mono) .

La trattazione di quale siano i settaggi corretti di GAIN e OFFSET va oltre gli scopi della presente recensione, ma mi sento di dare una parere personale: in fotografia astronomica del profondo cielo (per la quale questa camera è progettata) i valori di GAIN o OFFSET dovrebbero essere ottimizzati al fine di avere la miglior dinamica d'immagine; trovo assolutamente inutile e, a volte, dannoso che il settaggio di tali parametri venga lasciato all'utente finale.

Sarebbe bene che, come nel caso dei CCD, venissero preimpostati a valori ottimali "di fabbrica" offrendo magari un paio di settaggi predefiniti (tipo alto e basso readout noise) ma senza lasciare libertà completa all'utilizzatore.

 L'aspetto generale

La camera si presenta con l'ormai classico aspetto dei sensori ZWO: uno chassis cilindrico in alluminio di un bel colore rosso, molto leggero ma robusto, ai lati sono presenti le griglie di ventilazione, sul lato posteriore ci sono tutti i collegamenti elettici: la presa per il cavo di collegamento USB 3.0 tipo B, due prese USB 2.0 per il collegamento degli accessori (ruota portafiltri, camera autoguida) e l'ingresso per l'alimentazione a 12V DC.

Sulla parte frontale, protetto da un tappo filettato in alluminio, è presente il grande sensore d'immagine.

La dotazione standard è completata da un cavo di collegamento USB tipo B piatto, un paio di cavetti per il collegamento degli accessori e alcuni anelli di raccordo filettati.

La camera mi è stata inviata all'interno di una valigetta in plastica riempita di gommapiuma pretagliata in modo da proteggerla dagli urti.

La cosa che mi ha stupito maggiormente è stata l'assenza di un alimentatore: solo dopo ho scoperto che l'alimentatore a 12 V viene venduto come accessorio.

Sebbene il costo di un alimentatore del genere sia irrisorio, mi ha stupito molto la sua mancanza, anche se è vero che, in linea teorica, la camera può essere utilizzata anche senza alimentazione diretta, a patto di rinunciare al raffreddamento.

Avendo in casa diversi alimentatori, per fortuna non ho avuto problemi a trovarne uno compatibile, ma è una cosa di cui bisogna tener conto al momento dell'acquisto.

Altra cosa che non ho particolarmente gradito è il cavo di collegamento incluso: la lunghezza di questo cavo è di circa 1,5 metri: del tutto insufficiente a raggiungere il mio PC di controllo quando la camera è collegata al telescopio.

Anche in questo caso il problema è facilmente risolvibile acquistando un cavo di lunghezza maggiore. (forse il cavo in dotazione è pensato per essere utilizzato su mini PC montati a bordo telescopio)

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Oltre all'alimentatore, nella dotazione di base, mancava anche un CD/chiavetta USB con il software di controllo della camera: bisogna per forza disporre di un collegamento ad internet per scaricare le ultime versioni di software di controllo e dei driver.

Le prove al banco

L'installazione della camera è avvenuta senza intoppi e nel giro di pochi minuti ero già pronto a fare le prime prove: visto il periodo nuvoloso ho deciso di procedere innanzitutto con delle prove "al banco".

Come accennato sopra, la camera deve essere alimentata a 12 V affinché si possa attivare il raffreddamento tramite cella di Peltier che può raffreddare il sensore fino a -35°C rispetto alla temperatura ambientale.

Come prima prova quindi ho voluto valutare il tempo di raffreddamento della camera.

Non sapendo se la camera fosse dotata di Zero point compensation ho verificato il raggiungimento della temperatura obiettivo valutando la deviazione standard in un riquadro da 1000x1000 pixel al centro del sensore acquisendo dei dark frame da 30 secondi.

Più il sensore è freddo e minore è la corrente di buio e quindi la sua deviazione standard. 

Il sensore è partito alla temperatura di 20°C ed è stato raffreddato fino a -5°C (quindi con un delta di 25°C rispetto ai 35 massimi teorici)

Come si può notare dal grafico il sensore si raffredda molto rapidamente, scende al di sotto della temperatura impostata, quindi si stabilizza alla temperatura obiettivo: la stabilizzazione completa della camera avviene in circa 500 secondi trascorsi i quali la camera può considerarsi stabile.

Stabilizzazione

Proprio sul fronte raffreddamento ho trovato uno dei pochissimi (probabilmente l'unico degno di nota) difetti:

Se la camera viene scollegata dal software di controllo la cella di peltier cessa immediatamente di funzionare e il sensore comincia a scaldarsi; data la bassa inerzia termica del sistema il riscaldamento avviene molto rapidamente, causando un fermo di alcuni minuti nelle riprese per permettere al sistema di ristabilizzarsi.

In un caso, addirittura, dopo che la camera si era scollegata e ricollegata, per un mio errore di gestione del software, si è innescata un'oscillazione nella temperatura di circa 2°C intorno al punto di equilibrio. per ristabilire la situazione è bastato scollegare la camera, farla riscaldare di una decina di gradi e poi raffreddarla nuovamente; il fenomeno però si è verificato una sola volta.

Il secondo test che ho voluto effettuare è stato sulla qualità del dark frame.

Molte camere CMOS sono soggette all'AMP glow: un fenomeno di elettroluminescenza che produce zone a diversa illuminazione sui dark frame; sebbene l'AMP glow possa essere completamente corretto da una buona pratica di calibrazione, in alcuni casi può diventare fastidioso e lasciare tracce visibili sull'immagine finale.

In casa ZWO praticamente tutte le camere soffrono di questa caratteristica, ma la ASI 6200 viene pubblicizzata come totalmente esente dal fenomeno.

Ho quindi verificato dale dichiarazione eseguendo alcuni dark di prova alla temperatura di -5°C.

Il comportamento della camera in queste condizioni è stato eccellente: non c'è nessuna traccia di amp glow nei dark frame, l'immagine è perfettamente omogenea, perfettamente "piatta", fatto salvo per un certo numero di hot pixel (perfettamente nella norma).

Inoltre la dark current si è rivelata essere estremamente bassa, perfettamente in linea con quanto dichiarato da ZWO sul proprio sito (circa 0,0019 elettroni/s per pixel al -5°C).

Terminata questa prima fase di test introduttivi ho deciso di mettere a prova la linearità di risposta della camera.

Le camere CMOS hanno la fama di essere sensori con ampie deviazioni dalla linearità, spesso però tali informazioni non sono corredate da dati oggettivi e di basano sul sentito dire.

Ci tenevo quindi particolarmente a testare la risposta di questo sensore.

Per l'analisi di linearità, oltre al classico test dei residui sulla regressione lineare, ho utilizzato anche il test dei gradienti locali che ho descritto nel mio precedente articolo (La verifica della linearità dei sensori d'immagine: andare oltre la regressione lineare.): per chi non l'avesse ancora fatto, consiglio di leggerlo prima di procedere con la lettura dell'analisi dati.

A differenza della camera Moravian che ho analizzato nell'articolo sopra citato, la ASI 6200 ha un "rolling shutter" ossia un otturatore completamente elettronico, senza parti meccaniche in movimento, quindi non si verifica il problema dell'ombra dell'otturaotre sul sensore e si ha maggior libertà nella scelta dei tempi di posa.

Per i test ho raccolto tre serie di dati:

Serie "Bassi adu": acquisita con tempi tra 0,20 e 300 secondi con il pannello impostato a bassa luminosità. Camera impostata su GAIN 0 e OFFSET al valore predefinito.

Serie "Alti adu": acquisita con tempi tra 0,20 e 300 secondi con il pannello impostato ad alta luminosità. Camera impostata su GAIN 0 e OFFSET al valore predefinito.

Serie "GAIN 100": acquisita con tempi tra 0,20 e 300 secondi con il pannello impostato a bassa luminosità. Camera impostata su GAIN 100 e OFFSET al valore predefinito.

Gli scatti sono stati effettuati senza ottica, usando semplicemente un tappo con un forellino da circa 0,5 mm per illuminare il sensore.

Per ogni tempo di posa ho acquisito 5 scatti, in modo da calcolare valore medio e deviazione standard della misura: l'incertezza sperimentale così misurata è stata rappresentata con barre d'errore a 1 sigma.

Di seguito i grafici ottenuto dall'analisi delle tre serie di dati. 

Come si vedrà l'analisi dei dati così ottenuti è tutt'altro che semplice.

Il primo grafico rappresenta un confronto diretto dell'andamento tempo di posa - ADU

Regressione

 

 

Come si può notare il comportamento del sensore è sostanzialmente lineare fino a quando interviene la saturazione (molto evidente nel set ad "Alti ADU").

La camera quindi si comporta sostanzialmente come ci si aspetta da un sensore digitale, questo test però è molto poco sensibile a piccole deviazioni dalla linearità: ecco perché di rende necessaria l'analisi dei residui.

Il calcolo della regressione lineare è stato effettuato, per tutti i set di dati, utilizzando solo le pose tra circa 150 e 20.000 ADU, in modo da escludere le zone di saturazione e i tempi di posa troppo brevi.

I due grafici che seguono mostrano l'andamento dei residui sia in forma assoluta (ADU Teorici - ADU Reali) che in forma relativa ( residui percentuali (ADU Teorici - ADU Reali)/ADU Reali ).

Per meglio separare i dati a bassi ADU (ripresi con tempi di posa molto ravvicinati, l'asse delle ascisse è stato rappresentato in forma logaritmica.

Residui assoluti

 

ResiduiRelativi

 

 

Tra i due grafici quello più interessante sembra essere quello dei residui percentuali.

La prima cosa che si nota è una significativa deviazione dalla linearità ai bassi ADU (sotto gli 800), di questa deviazione parleremo meglio più avanti.

La cosa invece molto interessante è che il sensore si dimostra perfettamente lineare (entro l'errore sperimentale) nel range che va da 800 a circa 40.000 ADU, qui la camera comincia a deviare dalla linearità a causa della saturazione.
Difficile stabilire dove avvenga effettivamente la deviazione.

 Per meglio caratterizzare la deviazione visibile ai bassi ADU ho optato per il test del gradiente locale, misurando l'immagine al centro e in prossimità di un angolo e calcolandone quindi il rapporto come descritto nell'articolo citato sopra.

Gradiente locale

 

Confrontando il grafico dei residui percentuali con quello del gradiente locale si nota che:

  • Si conferma che la deviazione del sensore dalla linearità avviene intorno ai 40.000 ADU
  • Si conferma che oltre i 1000 ADU il sensore è lineare (i residui sono vicini a zero e il gradiente locale è costante).
  • Intorno agli 800-1000 ADU si nota una lieve ma significativa perturbazione
  • Prima degli 800 ADU il sensore sembrerebbe di nuovo lineare (gradiente locale costante)

Dare un'interpretazione a questi dati è piuttosto complicato: i dati suggeriscono che il sensore segua una determinata retta di linearità ai bassi ADU (inferiori a 1000) e che, intorno ai 1000 ADU ci sia un "ginocchio" dopo il quale il sensore segue una seconda retta con una pendenza leggermente inferiore rispetto alla prima.

Tale interpretazione sembrerebbe suffragata da una simulazione numerica ottenuta facendo variare del 5% la pendenza della retta di linearità a 1000 ADU.

 Simulazione del gradiente locale Simulazione deli residui percentuali della regressione lineare
 Simulaz Gradiente  Simulazione Residuo

NOTA Importante:

Tale interpretazione dei dati è basata unicamente sull'esame matematico dei grafici, purtroppo la mia conoscenza dei sensori elettronici in genere e dei CMOS in particolare non è sufficientemente approfondita da sapere se tale spiegazione possa descrivere un caso fisicamente possibile o meno.

Sicuramente tale comportamento meriterebbe un approfondimento, in modo da capire se quanto osservato è un fenomeno genuino o un artefatto dovuto ad un errore di misura.

Pur ritenendo questa seconda ipotesi improbabile (dal momento che il fenomeno si presenta in maniera analoga su tre set di dati indipendenti) non posso escludere che possa esistere un errore sistematico nel metodo di misura.

Ma la domanda chiave è: se tale comportamento della camera fosse verificato, impedirebbe alla stessa di funzionare correttamente?

La risposta dipende molto dall'utilizzo che si vuole fare della camera: La ASI 6200 è stata progettata per l'astrofotografia a lunga esposizione del profondo cielo.

In quest'ambito, in linea del tutto teorica, un comportamento non lineare potrebbe rendere difficile la calibrazione dell'immagine.

All'atto pratico però, vista l'entità minima, della perturbazione mi sento di poter escludere che questa possa avere un impatto negativo nell'uso del sensore in campo astrofotografico.

Tale supposizione è stata pienamente confermata dalle prove sul campo effettuate sotto un cielo cittadino.

I test sul campo

Per le prove reali ho collegato la camera al mio William Optics 110 FLT dotato di riduttore spianatore Type IV.

Purtroppo tale riduttore non è progettato per il pieno formato e quindi sono stato costretto a ritagliare le immagini a causa dei difetti sulla forma delle stelle.

Ovviamente tali difetti non sono da imputare alla camera che ha l'unica "colpa" di essere gigantesca.

Il suo utilizzo si è dimostrato molto semplice: come software di acquisizione utilizzo SGPro che controlla la camera tramite driver Ascom.

Il collegamento e la gestione della camera è stato immediato e stabile: ho utilizzato la camera per diverse notti senza mai avere problemi di connessione.

Nonostante i 60 Megapixel, il download delle immagini è relativamente rapido grazie al collegamento USB3.

Qui però è sorto uno dei problemi che accompagna questa camera gigantesca: la dimensione dei files.

Un singolo scatto in bianco e nero a 16 bit raggiunge quasi 120 MB! 

Il medesimo file dopo la debayerizzazione (ricordo che il modello provato è a colori) occupa 360MB

Il master light a a colori salvato in formato XISF 32 bit supera i 720 MB e, se utilizzate WeightenedBatchPreprocessing in Pixinsight (che salva in un unico file Master light e rejection maps), il file finale raggiunge la stratosferica quota di  2 GB!!!

Appare quindi chiaro che, chi volesse acquistare questo "giocattolo" deve dotarsi di un PC dotato di grande capacità di calcolo e, soprattutto di storage veloce ed affidabile.

Inoltre non sono molti i software di pre e post processing in grado di gestire una tale mole di dati.

Personalmente utilizzo PixInsight 1.8 per tutte le operazioni dei elaborazione dei file: con questo software non ho avuto problemi di elaborazione, ma le ventole di raffreddamento del processore del mio PC mi hanno fatto capire il carico di lavoro a cui il poveraccio è stato sottoposto.

Le prove sono state effettuate inizialmente in luce integrale, poi, visto l'inquinamento luminoso che caratterizza la mia zona, ho preferito applicare un filtro Optolong L-eNhance (anch'esso gentilmente prestato da Astrottica).

I risultati possono essere visti sulla mia galleria Astrobin.

 

Un mosaico a due pannelli della regione di NGC 7000 Il Velo del Cigno La nebulosa Crescent in luce integrale

 

Come ultima prova ho voluto testare le capacità sul planetario di questa camera.

L'otturatore elettronico permette infatti di scattare con tempi di posa brevissimi, adatti ai soggetti luminosi come la Luna.

L'immagine è stata ottenuta con la stessa configurazione delle immagini del profondo cielo con un tempo di posa di soli 30 millesimi di secondo.

Luna ASI

Conclusioni

La ZWO ASI 6200 si è rivelata essere una straordinaria camera caratterizzata da un bassissimo readout noise, da una corrente di buio quasi inesistente e da un altissima efficienza quantica.

Il test di linearità ha evidenziato una possibile anomalia intorno ai 1000 ADU che però sembra non pregiudicare in alcun modo il corretto funzionamento della camera.

Sul campo si è dimostrato uno strumento affidabile e versatile.

Unico neo, l'impossibilità di mantenere la temperatura impostata una volta che la camera viene scollegata dal software di controllo.

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